Poissiamo dire, in estrema sintesi che:

  • la parte fissa è composta dai costi in conto capitale, di investimento e di remunerazione del capitale, ecc. che ha natura redistributiva e non incentivante, ovvero ravvisabile in essa una natura più tributaria, poiché uti cives;
  • la parte variabile è teoricamente composta dai costi operativi. Altro errore, se non “furbizia” è quello di aver inserito il «contatore» (il kit delle attrezzature, con svuotamento minimo p.c.d. «incorporato» in esso, ossia imposto dal gestore con il servizio proposto-imposto alle utenze) tra la parte variabile della tariffa, di fatto essa componente diventa così un costo fisso della stessa, vulnerando la logica e natura della parte variabile. Ci si chiederà perché talune realtà (ad es. l’Alto Adige, il Trentino, altri Comuni o ATO… «copioni») abbiano inizialmente inserito tra la parte variabile della tariffa questi costi (…anche fissi) del “contatore”. Semplicemente perché si trattava di servizi sperimentali, pioneristici al tempo, che sono stati avviati senza conoscere da subito (ex ante) come si sarebbe dovuto «calibrare» la quota variabile per le varie utenze interessate a seconda di quanto sarebbe stato monitorato e conosciuto (ex post), per cui ci si sarebbe aspettati che questa componente del «contatore» (ossia il costo fisso del costo variabile, sic!) asintoticamente dovesse scomparire col tempo, migliorando e perfezionando quanto assunto come parametri o indici o coefficienti nella parte variabile, ciò appunto grazie al monitoraggio e all’aggiustamento della ge-stione. La parte variabile è incentivante e segue (teoricamente) criteri uti singuli, poiché di natura più corrispettiva.

Ecco perché bisogna convenire, con i più avveduti tributaristi (Gallo, Marchetti, Amatucci, ecc.), sulla natura mista della tariffa. Il che, ovviamente, non è solo una questione squisitamente teorica o dottrinaria.

È chiaro, ad esempio, che a seconda della natura del provento (tributo, patrimoniale, corrispettivo, ecc.) le potestà cambiano (ad esempio i Comuni potrebbero vantare per una prestazione patrimoniale imposta una potestà normativa riconosciuta costituzionalmente, nel principio di riserva di legge dell’art. 53 Cost.).

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