Ho dovuto riflettere non poco sull’approccio da darsi a questo scritto, sulla più agevole spiegazione e struttura narrativa, volendo arrivare anche a chi non
è esperto della materia.
Mi sono deciso di scrivere in modo diretto e senza cadere (salvo quando proprio si deve …) nel giuridichese o nel tecnicismo…
Ci sono linguaggi e concetti che infarciscono questa tematica, allontanando i più dagli approfondimenti e dallo svelarne gli arcani.
Non dico che la materia tariffaria sia una riserva indiana per specialisti, ma nemmeno può essere liquidata con banalissime chiacchiere che rimbombano in incontri e simposi dove prevalgono elegia e spirito settario.
Ciò che conforma la maggioranza di chi si interessa alla raccolta differenziata e alla tariffa puntuale e chi prospera nella giungla di detto e non detto.
Non avendo mai voluto appendere la giacca nelle stanze dei committenti, fornisco una mia personale interpretazione, basata anche su un’esperienza più che ventennale, che ovviamente si confronterà – per il minimo che serve – con l’evoluzione delle entrata comunale che finanzia la gestione dei rifiuti, nelle varie sue forme, nel come, negli effetti, nel … macropensiero, negli interessi, ecc.
Non sarò né ossequioso, né ipocrita. È un bosco che mi auguro di aiutare a far agilmente attraversare al lettore, arrivando alla sommità di una cima, in una radura dove si vedranno meglio non solo le foglie e i rami, gli alberi, la boscaglia, ma pure i fiumi, i laghi …
l’orizzonte e il suo “respiro” che apre il cuore e la mente, saltando “mappe” di percorsi precostituiti.
Anche questo tema va letto unificando teoria e realtà, senza lasciarsi trascinare dalle parti scollegate e divise, che pur sempre sono dei fatti.
Cercherò quindi di dare una visione di insieme e relazionale, un senso al tutto. Oggigiorno – come vedremo – la tariffa dei rifiuti viene semplificata in una
lettura che – in modo spicciolo – afferma, ad esempio, che la tariffa puntuale di per sé è un prelievo giusto e trasparente che finanzia un servizio altrettanto giusto e corretto, per come funziona, per come viene fatto, per gli effetti, ecc.
Sintomaticamente la tariffa puntuale si fonde con la raccolta differenziata, dove assieme “misurano” i rifiuti.
Ma c’è raccolta differenziata buona e meno buona, come esiste una tariffa puntuale buona e meno buona.
Inoltre, bisogna arrivare, appunto, alla sommità della cima delle montagne boscose, per vedere meglio tutto il paesaggio attorno, non limitandosi ad abbeverarsi presso le stazioni intermedie o di sostare nelle aree attrezzate di un percorso addomesticato.
Solamente dopo – con la propria testa e cuore – si potrà esprimere il proprio giudizio, formulato appunto in uno sguardo di insieme e che sente pulsare il tutto.
L’ambiente sovente è una tenda che nasconde un sipario dove la finanza e l’economia “comandano” a bacchetta i politici, a volte incapaci di coraggiose
scelte, implicanti strategie valoriali e di giustizia distributiva.
Tecnici e politici, più o meno inconsapevolmente, sono degli efficientissimi servitori di questo modello, impregnato di finanza spinta più che di economia
reale.
Paradossalmente, come vedremo, la tariffa puntuale cerca di portare consenso e approvazione rispetto a un prelievo tributario dove, altrettanto paradossalmente, le scelte sarebbero più controllabili e democratiche.
La tariffa puntuale sembra essere diventata una sorta di nuova forma religiosa, un monoteismo che tende a sostituirsi al politeismo di religioni, con fedeli inginocchiati agli idoli della “potenza” dei servizi pubblici.
Servizi pubblici che scalzano il ruolo degli Enti Locali, mimando esempi, meccanismi e comportamenti del mondo imprenditorial-finanziario, facendo uso dei modelli utilitaristico-economici in voga.
Una religione che “amministra” la nostra quotidianità che viene così ad essere sacralizzata, razionalizzando la sua struttura in un fine, in un impasto di etica rispettosa dell’ambiente e del nostro futuro.
Ma la verità, come spesso accade, sembra riposare altrove.
Si addebita al cittadino-utente – visto come individuo, più che nella comunità – la scelta di fare il servizio in un certo modo, come se fosse il migliore dei servizi possibili, giusto ed eticamente corretto.
Tutti devono adeguarsi e rispettare questa nuova forma di religione nei “riti” di una chiesa che sembra essere nata e funzionante non per guardare alto, ma
per “razzolare” meglio.
Certo ci sono anche idee originali, ma in alcuni casi… forse non lo sono … avendo radici in idee “vecchie”.
Così, con la maschera di una falsa morale, stampellata da una tecnica lievitata da principi sacrosanti, la gente viene ingannata, convertendosi alla nuova religione. Perché manca una valutazione ontologica storica e sociale.
Siamo all’assurdo. Una novità viene spacciata per rivoluzionaria, quando (come vedremo) si tratta di una cosiddetta “innovazione”, di una cosiddetta “riforma” varata nel segno dell’impotenza al vero e più radicale cambiamento, ancora nelle corde …
In proposito basta soffermarsi sulle problematiche del ristabilimento di una corretta gestione pubblico-privata; sulla tutela delle parti deboli che non sono quelle che si collocano statisticamente sotto il minimo di reddito; sull’inarrestabilità della colonizzazione o importazione dei comportamenti e
modelli privatistici nella gestione pubblica; sulle alleanze o connivenze tra soggetti pubblici e privati, come pure tra i vari poteri che mettono in atto, pur
di tirare a campare e consolidarsi nella tendenza della volontà di potenza che spazia dai fatturati e occupazione, alle scelte strategiche (fusioni, alleanze,
riorganizzazioni, ecc.) e che poi trovano eco con l’ingresso in Borsa delle utilities e nell’andamento delle loro azioni.
Ecco perché occorre uscire dall’asineria dei confusionari o degli interessati a prescindere … Il problema rimane quello della falsa (o infelice) coscienza dei moltissimi adepti della nuova religione tariffaria, non disgiunta dalla raccolta differenziata
“a prescindere”.
Tutto questo porta ad allontanarci apparentemente dal percorso verso la cima che si erge in mezzo al bosco, facendoci litigare per strada con i nostri compagni di viaggio, impedendoci sani confronti e proficui dialoghi.
Certo, tutti noi ne usciremo da queste “sbornie”, col tempo, con molta pazienza e sofferenza.
Intanto al caro lettore esplicitiamo da subito la nostra posizione: la tariffa per la gestione dei rifiuti spesso diventa succube di un pensiero semplificato e terra terra, nel vortice di comportamenti non sempre puliti e inappuntabili, di molti, privati o pubblici che siano non fa tanto differenza. Ma la tariffa puntuale, come pure la raccolta differenziata, non va buttata via.
Semmai la tariffa va pensata in una saggezza pratica, che guarda al tutto, evitando le parzialità e il doppiamento con tutto quel pensiero astratto, utilitaristico e tecnico che annichilisce la politica (deprimendo chi ancora pensa alla politica in modo virtuoso).
Ho iniziato a conoscere la tassa rifiuti agli inizi della mia carriera negli Enti Locali, alla fine degli anni Ottanta. Allora tutto funzionava “anagraficamente”, nel senso che il maggior problema degli Enti Locali era quello di aggiornare e completare la banca dati degli utenti, soprattutto sulle superfici da assoggettare.
Il ragioniere – con l’assessore al bilancio (che un tempo era una potenza nei comuni) – proponeva al Consiglio comunale un regolamento, di solito scopiazzato o importato dai modelli in voga, quando non diffuso dall’Anci locale (che allora aveva un peso e forniva buone consulenze ai Comuni).
I Consigli comunali valutavano le loro scelte di fiscalità locale, avendo in mente gli effetti della tassa rifiuti sulla singola famiglia media, che viveva nelle diverse metrature, come pure l’artigiano, l’industria, la banca e il notaio.
Insomma una delibera che guardava soprattutto alla realtà locale e che decideva la tariffa a metro quadrato, pensando alle persone che la subivano.
Un altro ufficio comunale si occupava dell’appalto dei rifiuti a una ditta esterna, con un capitolato fatto in casa o, anche qui, copiato da altri comuni o dai modelli Anci. Quando poi non era il Comune a gestire il servizio di raccolta con il proprio personale.
I comuni erano tutti “a cassonetto”, ancora non si parlava di raccolta differenziata.
Le cose sembravano funzionare, anche perché il problema dei rifiuti era allora, sostanzialmente, quello di trovare una discarica dove smaltirli.
Verso la fine degli anni Novanta, avevo sperimentato la raccolta distinta secco/umido in un bacino di 25 Comuni trevigiani, che aveva dato risultati straordinari.
Arrivai a settembre 1997 al vertice del consorzio di quei Comuni, imbevuto di diritto comunale e di appalti. Era uscita la tariffa Ronchi, si doveva applicarla e si doveva rifare tutto l’appalto raccolta rifiuti, costruendo altri impianti oltre la discarica che stava esaurendosi.
I fronti erano plurimi e tutti aperti. Ma tutto era collegato: il sistema di raccolta, gli impianti, l’azienda dei Comuni e la tariffa. Gestendo una realtà imprenditoriale mi impratichivo di regole e meccanismi molto diversi rispetto al comune. Ma i Comuni rimanevano i soci e i destinatari dei nostri servizi.
Servivano due lingue e due metodi da far incontrare, visto che era impossibile fonderli.
In quella contingenza, complice anche l’epoca storica dove si chiedeva a gran voce maggiore autonomia, se non federalismo e un maggior controllo delle spese, nella gestione aziendale mi convinsi che la tariffa rifiuti era preferibile pensarla come un corrispettivo. Il tutto era coerente con il sistema aziendale che avevo avviato.
La mia convinzione si irrobustiva procedendo nell’impostazione del budget, dei piani finanziari, dei progetti in linea tecnica e organizzativa e così via. Negli anni a seguire iniziai a osservare che la tariffa presentava degli aspetti che si richiamavano fortemente al mondo tributario, soprattutto la sua parte fissa, la redistribuzione dei carichi fiscali, la superficie amministrata.
L’aziendalizzazione, anche nella determinazione della tariffa, aveva portato i Comuni a lamentarsi solo su specifiche questioni, su evidenti storture applicative (ad es. per le bancarelle di caramelle al mercato, per i venditori di fiori davanti al cimitero, ecc.). L’appalto veniva scarnificato nei costi e ricavi, come pure le concessioni degli impianti e si zoomava tutto quello che stava prima e sotto quelle cifre.
Ma le cifre sono scritte da uomini, che cambiano se si siedono da una parte o dall’altra del tavolo che diventava un ring. Cominciai a riflettere sui pezzi e
sull’insieme della gestione vista da altre prospettive, non solo aziendale, non solo comunale, non solo delle associazioni di categoria, ma delle persone che poi vedevo arrivare negli uffici con i loro specifici problemi che, passando il tempo, percepivo in modo sempre fatto di singolarità, di individui.
Ripresi in mano lo studio delle entrate. Intanto cambiavo lavoro, cominciavo a guardare a diversi problemi e realtà con l’occhio del consulente esterno. Più procedevo nello studio e nell’esperienza senza più ancoraggi, più mi convincevo che la tariffa aveva una sua logica tributaria, non poteva essere un meccanismo a uso aziendale, che aziendalizzava anche l’utente nella sua efficienza e nel suo budget. Il punto era che non si può pensare all’individuo come elemento di un sistema, ma che la persona ha senso nella comunità. E la facoltà di scelta e della volontà dell’utente non può essere frantumata nell’economia, illudendolo che abbia così autonomia e potere contro una burocrazia prepotente e vorace. La facoltà di scelta, che significa anche responsabilizzazione e trasparenza, deve andare alla politica che non può
lasciare al mercato scelte di finanziamento di un servizio che è pubblico e che se vuole essere di tutti (un diritto) deve esserlo sul serio, con opzioni redistributive delle spese che tengano conto dei valori di solidarietà, uguaglianza, capacità contributiva.
Ecco perché mi sono riconvertito alla tariffa più tributaria e meno corrispettiva (sia chiaro: pur senza ripudiarla), perché ho cominciato a meglio comprendere la comunità, fuori dall’azienda e dalle istituzioni.
Libri
Libri di cui Alberto Pierobon è stato autore, coautore o curatore



